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Ecografie ginecologiche (con apparecchiature dedicate di ultima generazione)

Consulenze per contraccezione

Consulenze per problematiche menopausali

Prevenzione tumore del collo dell’utero (PAP test - ricerca HPV con tecniche innovative - Colposcopia)

Esecuzione tamponi vaginali

 

Entriamo nel dettaglio:

Che cosa è l’ecografia ginecologica?

 Si tratta di un esame ecografico non invasivo dell’apparato genitale femminile interno (utero e annessi). Come si esegue? Essa può essere effettuata in due modi:

 1) Ecografia trans-vaginale, che viene effettuata dopo svuotamento della vescica, introducendo una sonda all’interno della vagina, coperta da un guanto o un involucro apposito monouso. Essa rappresenta la modalità di effettuazione più indicata nella maggior parte delle condizioni cliniche.

 2) Ecografia trans-addominale che viene effettuata dopo adeguato riempimento vescicale appoggiando la sonda sull’addome, soprattutto in presenza di condizioni particolari (es. paziente virgo, stenosi vaginale) o in caso di quesiti specifici.

Quando si esegue? È un esame doloroso?

L’esame ecografico ginecologico, ed in particolare quello per via trans-vaginale, può essere eseguito in ogni momento del ciclo mestruale o in menopausa; a volte è opportuno effettuarlo in un particolare periodo del ciclo; è un esame del tutto indolore (al massimo può causare un lieve fastidio) e privo di effetti collaterali.

 A cosa serve l’ecografia trans-vaginale?

 L’esame può avere molteplici finalità, ad esempio: identificare condizioni patologiche anatomo/funzionali dei genitali interni femminili, identificare condizioni anatomiche a rischio oncologico, il monitoraggio delle pazienti sottoposte a terapie mediche/chirurgiche, rilevare modificazioni eventuali di organi e strutture pelviche conseguenti a processi patologici genitali.

Quali sono i limiti dell’esame?

L’ecografia ginecologica ha dei limiti. Ad esempio nel 10% circa degli esami ecografici l’endometrio non sarà visualizzabile; nella post-menopausa è possibile non riuscire ad evidenziare le ovaie. L’accuratezza dell’ecografia ginecologica, anche se condotta nelle migliori condizioni operative, non è assoluta (cioè esistono casi falsamente negativi e falsamente positivi) e, sebbene l’ecografia transvaginale sia una metodica accurata nella diagnosi differenziale fra tumefazioni benigne e maligne, l’impiego di tale esame nello screening delle neoplasie ginecologiche non è attualmente supportato da dati scientifici validi. In tutti i casi, l’ecografia non consente di escludere sempre con certezza una patologia a carico dell’utero o delle ovaie. Dopo l’esame a discrezione del medico l’esame potrebbe essere completato con una ecografia trans-addominale. Talvolta può essere utile ripetere l’esame a distanza di tempo, al fine di valutare l’evoluzione degli aspetti rilevati o integrare i risultati con quelli di altre metodiche di diagnostica per immagine (TAC, RMN…)

 

La Colposcopia

La colposcopia si usa soprattutto per studiare eventuali anomalie delle cellule del collo dell'utero emerse con il Pap test. Serve anche a indagare la causa di dolori pelvici o di sanguinamenti dalla vagina, soprattutto dopo i rapporti sessuali. Durante l'esame la paziente deve assumere la posizione ginecologica (esattamente come per il Pap test) e la vagina viene dilatata con un apposito strumento, chiamato speculum. Lo studio della cervice uterina avviene tramite un colposcopio, uno strumento che non viene inserito all'interno della vagina, ma consente di esaminare la zona interessata come con un binocolo. Il medico può applicare alla cervice alcuni liquidi (per esempio acido acetico o soluzioni iodate) che servono a visualizzare meglio eventuali anomalie cellulari. È bene quindi segnalare la presenza di allergie a queste sostanze. Nel corso dell'esame possono talvolta essere eseguiti piccoli prelievi di tessuto (biopsie) o possono essere asportate direttamente le parti anomale (elettroescissione, LLETZ).

 

PAP test e HPV test

 

È stato dimostrato che il tumore del collo dell’utero nel 99 per cento dei casi ha come causa l’infezione da Papillomavirus e che circa l’80 per cento delle donne contrae l’infezione nel corso della propria vita. Nella maggior parte dei casi il virus viene facilmente eliminato dall’organismo, l’infezione è quindi temporanea e tende a regredire spontaneamente in 1-2 anni, senza causare lesioni uterine (cosiddette precancerose). Nella piccola percentuale di donne in cui l'infezione diventa persistente, soltanto una parte sviluppa le lesioni che precedono il cancro invasivo. Il processo tumorale è in genere lento: sono necessari circa 10-15 anni prima che l’infezione da HPV, una volta instauratasi, porti allo sviluppo del cancro. Nelle donne che si sottopongono regolarmente ai controlli, si ha quindi il tempo necessario per rilevare l’infezione e diagnosticare eventuali lesioni precancerose che, se non trattate, potrebbero evolvere verso un tumore invasivo.

Che cos’è il Pap-test

L'esame è indolore e viene eseguito con le stesse modalità di una visita ginecologica. Inizialmente viene inserito uno speculum, che è uno strumento che dilata leggermente le pareti vaginali, e successivamente si procede al prelievo delle cellule poste sulla superficie del collo dell’utero e del canale cervicale, mediante una spatola e uno spazzolino. Il materiale prelevato viene poi fissato su un vetrino e inviato in laboratorio per valutare la presenza di cellule anomale

Chi deve fare il Pap-test e quando

Lo screening per il tumore del collo dell'utero in Italia prevede l'esecuzione di un Pap-test ogni tre anni nelle donne con un'età compresa tra i 25 e i 29 anni.

Non è raccomandato eseguire il Pap-test prima dei 25 anni. Le infezioni da Papillomavirus sono infatti più frequenti nelle fasce di età più giovani, ma nella quasi totalità dei casi regrediscono spontaneamente. Sottoporsi all'esame precocemente, dunque, esporrebbe le donne giovanissime a controlli di secondo livello e al possibile riscontro e successivo trattamento di lesioni che sarebbero regredite spontaneamente.

Lo screening è raccomandato fino ai 65 anni. Oltre questa età, se tutti i Pap-test precedenti sono sempre stati negativi, la scelta di eseguirlo è personale perché il rischio di sviluppare un tumore del collo dell’utero si abbassa considerevolmente.

Che cosa succede se il Pap-test è positivo

Se il Pap-test risulta positivo, la paziente viene sottoposta a un esame di secondo livello, la colposcopia, che consente, mediante uno strumento particolare e l’utilizzo di specifiche colorazioni, una visione ingrandita del collo dell’utero e delle eventuali lesioni rilevate con il test di screening. Nel caso in cui l’esame colposcopico evidenzi la presenza di aree anomale, si procede a una biopsia. Se la lesione precancerosa viene confermata, la si asporta con procedure micro-chirurgiche eseguite ambulatorialmente e in anestesia locale.

Non tutte le lesioni pretumorali necessitano tuttavia del trattamento. Le lesioni di basso grado, infatti, hanno un’alta probabilità di regredire spontaneamente. È per questo, soprattutto nelle pazienti giovanissime, che generalmente si preferisce monitorarle nel tempo anziché intervenire. Questa condotta, definita di attesa, serve a evitare interventi invasivi che si potrebbero dimostrare inutili.

Che cos’è l'HPV test

L’HPV test è un test molecolare che ricerca il DNA dei ceppi di Papillomavirus ad alto rischio oncogeno e quindi più frequentemente associati allo sviluppo del carcinoma della cervice uterina. La metodica dell’esame è la stessa del Pap-

 Chi deve fare l’HPV test e quando

L’HPV test viene raccomandato a partire dai 30 anni di età fino ai 65 anni, e deve essere eseguito ogni 5 anni. Il test presenta una maggiore sensibilità ed efficacia rispetto al Pap-test, perché consente di rilevare la presenza del virus ancora prima che questo abbia avuto la possibilità di generare lesioni precancerose.

Che cosa succede se è l’HPV test è positivo

È importante precisare che l'eventuale positività all'HPV test non corrisponde a una diagnosi di tumore.

È piuttosto un segnale che sono necessari ulteriori accertamenti. Il materiale prelevato per l’HPV test viene infatti esaminato anche al microscopio (in un esame che prende il nome di Pap test di triage). Se questo esame evidenzia la presenza di alterazioni a carico delle cellule, si procede con la colposcopia. Nel caso in cui la valutazione citologica invece non evidenziasse nessuna atipia, la paziente ripeterà l’HPV test a un anno di distanza.

In definitiva, dunque, aderire allo screening aumenta notevolmente le probabilità di individuare un tumore a uno stadio di sviluppo molto precoce e quindi di intervenire con i trattamenti adeguati caso per caso.

Se ho fatto il vaccino contro l’HPV devo comunque aderire allo screening?

 

 

È raccomandato a tutte le donne che si siano sottoposte a vaccinazione anti HPV di aderire ugualmente allo screening. Sono stati identificati circa 200 ceppi differenti di HPV, e i vaccini attualmente presenti in commercio offrono la protezione solo contro 9 ceppi, che sono quelli considerati ad alto rischio perché più frequentemente associati all’insorgenza del tumore. Non è escluso però che un ceppo classificato come a basso rischio possa instaurare una infezione persistente e così portare allo sviluppo di lesioni precancerose o di un cancro invasivo. Quindi vaccinarsi diminuisce il rischio di ammalarsi ma non lo annulla del tutto.

 

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